A qualche giorno dall'inizio ufficiale della primavera, gli esperti di Arpa Umbria ci forniscono un approfondimento su un tema molto importante: pollini e impollinatori. Dopo i pesticidi il clima che cambia è infatti uno dei maggiori pericoli per la sopravvivenza delle api e altri impollinatori.
Il calore, l’acqua, la luce e i nutrienti sono elementi che determinano lo sviluppo e l’accrescimento delle piante, fra loro strettamente interdipendenti. Le piante hanno una tolleranza più o meno vistosa ai cambiamenti climatici, che ne condizionano la salute e la crescita, influenzandone i tempi di fioritura e l’habitat di diffusione. Ne danno evidenza gli esempi di seguito riportati, che mostrano sia la capacità di adattamento che lo stress provocato da tali variabili (temperatura, piovosità, umidità), con evidenti impatti sulla biodiversità, sugli ecosistemi e sul mondo dell’agricoltura.
I cambiamenti climatici hanno effetti sui cicli vitali di organismi appartenenti a regni diversi, modificando i delicati equilibri che da sempre regolano gli ecosistemi. È ormai noto, infatti, che disturbano i processi di impollinazione, ma in rare occasioni ciò è stato dimostrato "sul campo", come nel caso dei bombi.
Al pari delle api, questi importanti insetti impollinatori svolgono un ruolo fondamentale. Lo scioglimento precoce delle nevi nei paesi nordici, però, negli ultimi anni sta creando le condizioni per un "appuntamento mancato" tra fiori e bombi ancora ibernati. Questi, infatti, nidificano in piccole cavità del terreno ed escono dall'ibernazione solo quando la temperatura del terreno è ben al di sopra del punto di congelamento. Quando i fiori sbocciano troppo presto l'incontro tra l’impollinatore e il fiore è disallineato, con conseguenze immaginabili: scarsa riproduzione, riduzione della biodiversità e dei prodotti legati all'agricoltura.
Anche l’ape mellifera, insetto principe dell’impollinazione entomofila, è già da diversi anni sotto osservazione per essere una preziosa sentinella dei numerosi effetti dei cambiamenti climatici. Stagioni più abbondanti nella produzione di polline, ma più ridotte nella durata, inducono tali insetti ad accumulare grandi quantità di polline in breve tempo, riserve che però devono essere consumate ben prima della stagione invernale, già durante l'estate, per sopperire alla mancanza di cibo dovuta a stagioni estremamente siccitose. Ne deriva una minore produzione di miele e prodotti delle api, una diminuzione della fertilità delle specie vegetali non più impollinate e un generale indebolimento degli alveari con conseguente maggiore esposizione a malattie e parassiti.
[17/03/2021]